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Purtroppo però non riesco ad inserire le immagini... peccato!!!!

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Chi ama non dimentica le proprie origini... orgogliosi di essere IRPINI!!!


mar mag 22, 2007 5:27 pm
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Purtroppo anche Montella ha avuto il suo serial killer, sò che è una brutta storia ma forse a qualcuno potrebbe interessare


LEONARDA CIANCIULLI
Leonarda Cianciulli è passata alla storia per i tre omicidi (numero minimo per essere riconosciuti come Serial Killer) compiuti con incredibile freddezza, ma anche per le sue dichiarazioni in tribunale e soprattutto per il suo memoriale: "Confessioni di un'anima amareggiata".
Un libro di 700 pagine, una sorta di autobiografia che la Cianciulli scrisse dopo la condanna, narrando la propria storia e riportando fedelmente le descrizioni degli omicidi da lei compiuti.
Su di quel libro, processo a parte, si basa tutto ciò che si conosce della storia della Saponificatrice di Correggio. Vi ricordiamo che la donna è finita in manicomio, perciò ogni riferimento a magie, maledizioni, sogni premonitori e profezie zingaresche potrebbe non corrispondere a realtà, ma essere soltanto un parto della mente malata di Leonarda Cianciulli.
Leonarda nasce a Montella di Avellino nel 1893, concepita in seguito a una violenza carnale subita da Emilia Di Nolfi. Emilia sarà costretta a sposare il suo violentatore e odierà per sempre quella creatura, anche dopo aver divorziato ed essersi risposata con Mariano Cianciulli, dal quale avrà altri figli.
Leonarda è una bambina debole, malaticcia ed epilettica ed è maltrattata dalla madre, mentre i fratelli la isolano e la trattano allo stregua di una paria.
La sfortunata bambina cerca di sfuggire alla propria situazione famigliare tentando più volte il suicidio ma è sfortunata anche da quel punto di vista:
"Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l'altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l'intenzione di morire e mangiai dei cocci di vetro: non accadde nulla".
Nonostante non sia una grande bellezza (grassa e dal viso mascolino), Leonarda trova nell'addolescenza una via di consolazione alla sua triste vita: la compagnia maschile.
Un bel giorno uno dei tanti uomini da lei frequentati, l'impiegato statale Raffaele Pansardi, la sposa e la porta via dalla madre. I due coniugi Pansardi si trasferiscono infatti a Lariano, un paesino dell'Alta Irpinia…sul quale, poco tempo dopo, si abbatte un terribile terremoto. Leonarda e suo marito cadono in rovina e si trasferiscono nuovamente, questa volta in Emilia Romagna, a Correggio (Reggio Emilia).
Il paesello verrà reso famoso dalla Saponificatrice, ancora prima che da Ligabue.
I cittadini accolgono bene la coppia, che vive in Via Cavour 11A. Leonarda si ingegna in un commercio di abiti usati. Grazie a questo commercio e grazie al rimborso danni per il terremoto, la coppia risolleva ben presto la propria economia, tanto da permettersi una collaboratrice domestica.
Nonostante la nuova situazione economica, la donna non riesce a godersi la vita perché è ossessionata dalla maledizione che sua madre ha pronunciato in punto di morte, una maledizione che le augura una vita piena di sofferenze. Come se ciò non bastasse, anni prima una zingara le aveva fatto una terribile profezia, la cui prima parte recitava: "Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti moriranno i figli tuoi".
Mai predizione fu più veritiera: le sue prime 13 gravidanze finiscono con 3 aborti spontanei e 10 neonati morti nella culla.
Dopo l'intervento di una "strega" locale, Leonarda riesce finalmente a portare a termine non una, ma ben quattro gravidanze. Un caso? Auto- condizionamento? Magia? Non lo potremo mai dire con certezza, ma sta di fatto che adesso Leonarda Cianciulli non è più la bambina che cerca il suicidio per sfuggire a una vita priva di amore materno, il destino l'ha trasformata in una madre disposta ad uccidere chiunque provi a strapparle via quei 4 preziosi doni del destino.

È il 1939, Giuseppe, il primogenito, è iscritto a lettere all'Università di Milano, Bernardo e Biagio frequentano il ginnasio, Norma l'asilo delle suore.
C'è una guerra alle porte, l'angoscia di Leonarda è sempre maggiore, sopratutto teme che l'esercito si porti via il suo Giuseppe, a combattere contro gli Alleati.
Memore dell'intervento magico compiuto anni prima della strega, e andato a buon fine, Leonarda trova ben presto la soluzione al suo problema: la magia.
"Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l'altra dalla terra nera...per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli".
Leonarda si rivela un'ottima "apprendista", in poco tempo diventa una maga rinomata nella zona. Fa gli oroscopi e legge le carte alle amiche e alle persone (soprattutto donne sole) che si recano nel suo studio magico, ma la Saponificatrice fa le carte anche su se stessa, nella speranza di conoscere il destino di Giuseppe.

Una notte i sogni spaventosi di Leonarda scompaiono e al loro posto appare una Madonna. In braccio porta un Gesù bambino nero e spiega alla donna cosa deve fare: ci vogliono dei sacrifici umani per salvare i suoi figli.
La novella maga decide così di passare al setaccio tutte le proprie clienti, fino a quando non trova tre potenziali vittime che fanno al caso suo: tre donne sole, mature e disposte a tutto pur di cambiare la loro triste e noiosa vita a Correggio.
È il momento di agire.
La prima vittima si chiama Faustina Setti, una settantenne che non ha ancora perso le speranze di trovare marito e che si consulta spesso con la maga per conoscere il proprio destino amoroso.
Leonarda le legge le carte, le promette che sono in arrivo novità e un giorno le comunica finalmente la "lieta" novella: un ricco amico della Cianciulli stessa, e residente a Pola, ha deciso di sposarsi, e ha visto in Faustina Setti la sua donna ideale. Leonarda consiglia all'amica di vendere tutti i propri averi e di non fare parola con nessuno su questa storia, per non scatenare inutili invidie.
Il giorno della partenza Faustina si presenta, tinta truccata ed eccitata come una bambina, dalla maga sua amica, per gli ultimi saluti di rito.
La Cianciulli le offre un caffè, anche se ci sarà da aspettare un po': il fornello è occupato da un enorme pentolone pieno d'acqua bollente sul fuoco, è ora di fare una scorta di sapone per l'inverno! Nell'attesa del caffè, consiglia perciò alla Setti di guadagnare tempo, magari scrivendo delle lettere ai parenti, nelle quali annuncia che l'incontro con l'uomo è andato a buon fine.
Mentre la settantenne, mezza analfabeta, si affatica sulle lettere, Leonarda prende la scure e le spacca la testa. Il corpo viene sezionato in nove parti, il sangue raccolto in un catino per scopi ben poco ortodossi…
"...gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi, che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io".
Il giorno dopo la Saponificatrice manda l'ignaro Giuseppe a Pola, a imbucare le lettere scritte dalla povera Faustina innamorata.

La seconda vittima si chiama Francesca Soavi. È una donna molto attiva, che si sente in gabbia nel paesino Emiliano, così si reca spesso da Leonarda perché vuole sapere dalle carte se troverà mai un posto di lavoro in qualche altra città.
La Cianciulli le promette che a Piacenza c'è ad aspettarla un posto da maestra elementare in un collegio femminile. La donna ringrazia entusiasta e, come Faustina, una fredda mattina del settembre 1940 si reca a salutare la maga, per ringraziarla dell'aiuto.
Anche se con qualche difficoltà in più, Leonarda convince Francesca a non fare parola con nessuno e a scrivere le solite lettere d'addio. Poi compie il suo secondo sacrificio umano.
Questa volta ruba i soldi dalle tasche della vittima e, giorni dopo, si presenta alla famiglia dicendo che è stata incaricata da Francesca a vendere tutte le sue cose.
Giuseppe intanto viene mandato a imbucare delle lettere a Piacenza.

Terza e ultima vittima. Virginia Cacioppo è una cinquantatreenne ex cantante lirica, che non riesce ad accettare l'età e che passa le giornate ricordando malinconicamente i passati successi artistici.
Leonarda la convoca nel suo studio e le promette che un suo amante, dirigente di un fantomatico teatro di Firenze, sarebbe disposto ad assumere Virginia come segretaria e, eventualmente, potrebbe anche inserirla in qualche spettacolo. La cantante lirica accetta entusiasta e, per rispetto nei confronti dell'amica, non racconta a nessuno del misterioso amante-dirigente di Firenze che la vuole assumere.
Il 30 settembre 1940 si ripete alla perfezione l'ormai solito copione di morte della Saponificatrice.
"Finì nel pentolone, come le altre due. La sua carne era grassa e bianca, quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle belle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce".

A incastrare Leonarda Cianciulli non saranno né un errore madornale né un investigatore geniale, come succede in tutte le storie di assassini seriali, ma saranno bensì una parente impicciona e un prete avido.
Il 30 settembre 1940, prima di sparire, la Cacioppo era stata seguita da una cognata, curiosa di sapere perché Virginia le aveva venduto tutti i vestiti. La donna, non vedendo più uscire Virginia dalla casa in Via Cavour, si insospettisce e mette in guardia la questura. La questura stessa, poco tempo dopo, durante dei controlli, incappa in un Buono del Tesoro della Cacioppo, depositato alla Banca di San Prospero da un prete di campagna.
Interrogato dagli inquirenti il parroco confessa di aver comprato il Buono da A. Prosperi, amico-amante della Cianciulli.
Leonarda è alle strette. Il questore vuole spiegazioni, ma è nuovamente la Madonna con il Gesù nero ad apparirle in sogno e a dirle di confessare tutto.

EPILOGO
Durante il processo (1946), la mamma assassina, sarà costretta nuovamente a difendere l'adorato Giuseppe dall'accusa di averla aiutata negli omicidi.
Gli inquirenti giustamente hanno diversi dubbi sulle possibilità che una donna di cinquanta anni, alta un metro e cinquanta e tarchiata, sia riuscita da sola uccidere e sezionare tre esseri umani.
Così Leonarda, pur di salvare dalle accuse Giuseppe, propone alla corte di eseguire per loro ciò che ha fatto alle altre donne. A sorpresa il giudice accetta la proposta e vengono fatti portare nell'aula il cadavere di un vagabondo, un pentolone e una scure. In 12 minuti netti, sotto agli sguardi allibiti dei magistrati e degli avvocati, il vagabondo viene sezionato, smembrato e bollito per fare saponette. Leonarda è la sola colpevole. Il prete e il suo amante se la cavano con un'accusa di ricettazione.
Condannata a 30 anni di carcere e 3 anni di manicomio, Leonarda passa la sua condanna nelle strutture di Pozzuoli e Aversa, lavorando all'uncinetto, facendo il discorso di benvenuto ai funzionari ministeriali in visita e cucinando biscotti per tutte le sue compagne. A questo proposito, una suora che l'ha conosciuta ricorda: "Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi che nessuna detenuta però, si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica."
Il 15 settembre 1970, in seguito a apoplessia celebrale, la Cianciulli si è spenta nel manicomio criminale di Pozzuoli ed è stata seppellita nella fossa comune della città campana.
Alla sua misteriosa figura di madre (e quindi di dispensatrice di vita) che si trasforma in terribile assassina sono ispirati il film "Gran Bollito" di Bolognini, lo spettacolo teatrale "Amore E Magia Nella Cucina Di Mamma" della Wertmuller e "Cianciulli!" della band Heavy Metal AFA, ma anche pagine su pagine di libri.

"Vedo nella tua mano destra il carcere, nella sinistra il manicomio"
(seconda parte della profezia della zingara

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Gerardo 1981


sab mag 26, 2007 10:15 am
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... la cosiddetta "saponificatrice"... uno dei casi di cronaca più famosi ed efferati del novecento italiano...

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sab mag 26, 2007 1:23 pm
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si lone.... lei

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Gerardo 1981


dom mag 27, 2007 2:53 pm
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marò nn conoscevo questa storia..agghiacciante

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SOSTENGO LA MIA CITTA' NON UNA MATRICOLA...


dom mag 27, 2007 3:41 pm
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Comune di Montefredane


Regione Campania
Provincia Avellino (AV)
Zona Italia Meridionale
Popolazione Residente
2.305 (M 1.167, F 1.138)
Densità per Kmq: 244,7
(dati Istat 2001)
Codici
CAP 83030
Prefisso Telefonico 0825
Codice Istat 064055
Codice Catastale F511
Varie
Numero Famiglie 815
Numero Abitazioni 917
Denominazione Abitanti montefredanesi
Santo Patrono San Nicola


© Reti e Sistemi


Montefredane (C.A.P. 83030) appartiene alla provincia di Avellino e dista 8 chilometri da Avellino, capoluogo della omonima provincia.

Montefredane conta 2.305 abitanti (Montefredanesi) e ha una superficie di 9,4 chilometri quadrati per una densità abitativa di 245,21 abitanti per chilometro quadrato. Sorge a 593 metri sopra il livello del mare.

Il municipio è sito in Via Municipio 7, tel. 0825 672146, fax. 0825 672146.

Cenni anagrafici: Il comune di Montefredane ha fatto registrare nel censimento del 1991 una popolazione pari a 2.316 abitanti. Nel censimento del 2001 ha fatto registrare una popolazione pari a 2.305 abitanti, mostrando quindi nel decennio 1991 - 2001 una variazione percentuale di abitanti pari al -0,47%.

Gli abitanti sono distribuiti in 815 nuclei familiari con una media per nucleo familiare di 2,83 componenti.

Cenni geografici: Il territorio del comune risulta compreso tra i 257 e i 606 metri sul livello del mare.

L'escursione altimetrica complessiva risulta essere pari a 349 metri.

Cenni occupazionali: Risultano insistere sul territorio del comune 21 attività industriali con 745 addetti pari al 74,06% della forza lavoro occupata, 38 attività di servizio con 69 addetti pari al 6,86% della forza lavoro occupata, altre 53 attività di servizio con 107 addetti pari al 10,64% della forza lavoro occupata e 8 attività amministrative con 85 addetti pari al 8,45% della forza lavoro occupata.

Risultano occupati complessivamente 1.006 individui, pari al 43,64% del numero complessivo di abitanti del comune.

Montefredane è un comune della provincia di Avellino, raggiunge i 606 metri di altezza con la frazione amministrativa e i 260 con le altre tre e sorge sull’alto corso del fiume Sabato.

E’ un importante centro agricolo con notevoli attività della pastorizia (allevamenti e latticini) e si segnala anche per un notevole commercio di vini.

Nei pressi dell’abitato, posto in una posizione che consente panorami eccezionali, si trovano le sorgenti minerali dette “Il Pozzo del Sale”.

Il comune di Montefredane ha dato i natali al giornalista Giuseppe Pisano.

Storia di Montefredane

Di origine medioevale e dapprima casale della Contea Avellinese e poi feudo di numerose famiglie, Montefredane è la patria dello storico Guglielmo Giordano, del sacerdote carbonaro Michele Bregamasco, dello scrittore Bernardino De Crescenzo e del poeta Oreste Giordano.

Sorge su un territorio già abitato nella preistoria e fu attraversato dall’Acquedotto Sannitico-Romano e da una via romana.

Montefredane: Chiese, Palazzi, Monumenti e luoghi di interesse

Il Castello Medioevale, costruito nel XVII secolo, al quale si giunge da una stradina che parte dalla piazza del paese e conduce alla possente costruzione, della quale rimangono notevoli resti ben conservati.

La Chiesa Parrocchiale di Santa Maria del Carmine, un monumentale edificio di culto restaurato nel 700 che presenta una singolare torre campanaria a più livelli, con torretta e orologio antico; all’interno sono custodite notevoli opere d’arte.

Il Palazzo del Comune, ubicato in un convento del XVIII secolo.

Da vedere anche il Palazzo Baronale, le chiese dell’Addolorata, del Cuore di Gesù e la Cappella della Pietà. Si tratta di complessi architettonici notevoli, che conservano anche alcune interessanti opere d’arte.

Montefredane: feste, fiere, sagre e manifestazioni

Festa della Madonna del Carmelo 16 Luglio.
Festa di San Nicola 6 Dicembre.
Concorso di poesia “Oreste Giordano” Marzo.
Sagra del fusillo “al pezzente” Giugno.
Fiera dei vini irpini Luglio

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...L'AVELLINO SIAMO SOLO NOI...

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dom mag 27, 2007 8:43 pm
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Altavilla Irpina

Le Origini del nome
Nel 1221 troviamo il nome di Altavilla in un atto notarile di un archivio di Montevergine.Il Bellabona sostiene che il nome di Altavilla potrebbe far riferimento ad Altavilla di Normandia, e cioè Hauteville.Si potrebbe far risalire l’origine del nome del feudo a Tancredi di Altavilla; alcuni storici sostengono che sia stato Luigi de Capua, essendo i De Capua di origine Normanna, a dare il nome di Altavilla al feudo in riferimento, appunto, ad Altavilla di Normandia; altri storici sostengono che questa tesi sia infondata perché è improbabile che sia stato un feudatario e non un’autorità regia o la curia a determinare un cambiamento di nome al borgo.Precedentemente Altavilla era denominata Altacauda, nome che compare nelle cronache del Falcone il Beneventano (raccontano le vicende dell’Italia meridionale tra il 1102-1140) e del notaio Alessandro Telesino (cronache che raccontano delle conquiste dei Normanni tra il 1127-1135).Ruggiero II conquista, infatti, l’Italia meridionale nel 1134. In una pergamena riportata dal Mongelli, del 1183, è documentato che Altacauda venne conquistata, “comprendit”, cioè resa senza distruzione.Altacauda era, in questa pergamena, già decorata del titolo di “castrum” (castello), il che sta ad indicare il suo relativo sviluppo e l’importanza che aveva, anche se non aveva ancora un proprio feudatario ed era stretta con Grottolella e Summonte nelle mani di Raone de Fraineta, suffeudatario del conte di Avellino.Anche sull’etimologia di Altacauda ci sono diverse ipotesi. Il nome Altacauda potrebbe derivare dai Caudini, tribù Sannita, di cui sono stati ritrovati nella zona vari reperti archeologici: Alta-cauda potrebbe essere tradotto come parte estrema del Caudio, ossia della valle Caudina.Prendendo in considerazione, invece la traduzione latina di cauda, ossia “coda”, ci sono storici che sostengono l’origine del nome dalla morfologia del luogo: Altacauda dovrebbe significare semplicemente Alta coda. Venendo, infatti da Benevento, dal punto in cui la vallata si congiunge col Sabato, presso il Ponte dei Santi, si scorge la parte antica del paese, sull’estremità di un colle, detto Ripe, che si prolunga a forma di “coda” e scende nella vallata sottostante.Al conte Raone de Fraineta succede la figlia Emma, conosciuta come la Domina. Emma sposa Corrado di Insuivilla, e terrà il feudo dal 1182 fin dopo il 1220; visto che il cambiamento del nome da Altacauda ad Altavilla è documentato almeno nel 1221, è palese l’assonanza con il nome del marito Corrado di Insuiville, e c’è chi formula che il mutamento di nome sia stato un modo per l’uomo di conservare il proprio nome nella storia.

Con decreto regio del 14 dicembre 1862 vi è aggiunto l’aggettivo Irpina

STORIA, PREISTORIA

STORIA


Posto al confine tra le province di Avellino e Benevento, il paese si snoda su tre colli (Torone, Foresta e Ripe) dominanti il corso dei torrenti Vellola e San Giulio, affluenti del fiume Sabato. Il suo sviluppo è strettamente connesso, perla formazione storica, all’ubicazione su un percorso naturale lungo l’importante direttrice di traffico nord-sud codificata in Italia dalla preistoria, che, attraverso lo “Stretto di Barba”, metteva in comunicazione il beneventano con il salernitano.

Facilmente raggiungibile percorrendo la strada statale 88, Altavilla Irpina (340m,ca.5000 abitanti) è servita anche della stazione ferroviaria (linea Avellino- Benevento) ubicata a4 chilometri dall’aria urbana e a pochi metri dal corso del fiume Sabato.

PREISTORIA

La zona è stata frequentata quasi ininterrottamente dalla preistoria ad oggi: il ritrovamento di reperti archeologici di varia natura è stato segnalato fin dalla metà del secolo XVIII dai tanti cultori di storia locale che ne hanno dato notizia in numerose pubblicazioni. Allo stato attuale delle ricerche, però, la più antica presenza dell’uomo nel territorio di Altavilla è riferibile a gruppi di agricoltori ed allevatori di età neo-eneolitica (IV- fine III millennio a.C.) che pongono un loro insediamento stabile in località Tufara, su di un colle solcato da un piccolo torrente affluente del Sabato, oggi in gran parte sbancato dai lavori di estrazione di una cava di tufo. Da questo sito, sede di un villaggio capannicolo con annesso sepolcreto, sono stati recuperati fin dal secolo scorso una serie di reperti archeologici.


Monumenti
IL PALAZZO COMITALE
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Il cuore del centro antico, che conserva in alcuni tratti l’aspetto del tipico borgo medioevale (stradine selciate che seguono l’orografia del terreno, unità abitative disposte su uno o due livelli con portali lapidei), è rappresentato dall’attuale Piazza Alberico Cresciteli, sulla quale si eleva il palazzo dei conti de Capua, grande edificio signorile d’epoca aragonese che si ammira da tutto il versante settentrionale della media valle del Sabato. Il palazzo si sviluppa su due livelli, mostrando elementi artistici e architettonici comuni ad altri edifici coevi campani con presenze d’influenze catalane commiste ad espressioni stilistiche toscane. La fabbrica risulta formata da un corpo anteriore disposto sull’asse est-ovest con due ali simmetriche orientate nord-sud rispetto all’asse principale con cortile intermedio e scala a doppia rampa collocata sullo sfondo del panorama circostante.
La sua costruzione è commissionata dai feudatari del luogo, nel corso del secolo XV, ad un anonimo architetto che trasforma i resti di un precedente edificio fortificato, di cui sono state evidenziate nel settore nord-ovest del fabbricato alcune strutture murarie delle fondazioni, in una splendida residenza nobiliare. L’edificio va ad occupare tutta l’area del preesistente castello, utilizzando per la realizzazione del nuovo complesso anche del materiale costruttivo di recupero.

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IL SANTUARIO
L’esistenza della chiesa è documentata dal 1512, anche se, da riferimenti d’archivio, si ha buon motivo di supporre che sia molto più antica.Essa era una collegiata, retta cioè da un collegio composto da un arciprete e da alcuni canonici (prima quattro, poi sei, poi dieci).L’edificio, situato sulla collina detta “Ripe”, consisteva di due livelli, di cui il più basso era adibito a Cripta e quello superire costituiva la Chiesa vera e propria.Le dimensioni originarie della chiesa erano notevolmente più modeste delle attuali e dimensionate per una popolazione di poco superiore alle 2000 anime; successivamente, in seguito alla traslazione ad Altavilla delle reliquie di S. Pellegrino, avvenuta nel 1780, il numeroso accorrere di fedeli da ogni dove per venerare il Santo rese necessario l’ampliamento dell’edificio.I lavori cominciarono nel 1789 con l’impegno di tutta la comunità a contribuire o con danaro o con prestazione gratuita d’opera fino al suo completamento.“Si gettavano così le fondamenta di quest’edificio colossale senza un fondo certo, senza affatto mezzi che fossero sicuri per poter far fronte alle immense spese che richiedeva, ma con la sola speranza al Martire miracoloso che avesse ispirato larghe liberalità nei cuori di tanti innumerevoli fedeli, che da vicine e lontane contrade senza interruzione accorrono in ogni anno ai suoi piedi per implorare aiuto”. Così scriveva mons. Girelli nel 1873.Ed i lavori, infatti, andarono avanti per più di mezzo secolo, impegnando tutte le risorse provenienti dai fedeli delle Congreghe, dal Comune e dal popolo altavillese, per un totale di oltre cinquecentomila lire.Alla fine, però, la magnificenza dell’edificio ripagò tutti gli sforzi.“Questa grandiosa Chiesa, i cui muri nelle fondamenta cominciano con lo spessore di metri cinque, è una fabbrica colossale, che ha inizio dal fondo di una vallata in mezzo a due monti, e si eleva attaccata ad uno di essi in tre ordini: l’uno sopra l’altro fino al livello della strada. Il primo ordine che costituisce la terra santa, ossia l’Ossario ove un tempo si deponevano accatastate le ossa purgate, si alza per sei metri dalla valle; e sta sopra ai sepolcri, i quali si approfondano per quindici metri nella vallata. Il secondo ordine , che si eleva per quattordici metri, forma una vasta Cripta, ossia Soccorpo, distinto per la sua larghezza che non ha pari in queste province meridionali, e più distinto per l’ampia portata della luce. Su questo secondo ordine si erge maestosa la Chiesa, di fronte al Palazzo Baronale, con quattro ordini di pilastri, i quali la dividono in cinque navate, e le danno forma di croce latina, il cui centro è sormontato da una larga ed alta cupola.All’interno la chiesa è assai ricca di fini ornamenti e di arabeschi in stucco.Un coro spazioso a semicerchio con stallo in noce le da termine in fondo, davanti al quale è situato un presbiterio egualmente spazioso e largo.Sul vestibolo, in stile dorico, è presente un maestoso organo a disegno ionico, che, oltre agli strumenti ordinari, possiede anche tutti i registri musicali ed un armonioso fiso-armonico, che gli conferiscono una voce attonata e proporzionale alla vastità del tempio”. (tratto da uno scritto di mons. Girelli del 1873).Col terremoto dell’80 la chiesa subì ingenti danni: crollarono quasi completamente la cupola centrale e gran parte dell’organo.Dopo anni di intensi lavori di consolidamento e restauro la chiesa è stata riaperta al culto il 3 agosto del 1991.Pur restituita quasi completamente al suo antico splendore, non è stato possibile ricostruire l’organo, ripristinare le tinte originali delle colonne, degli ornati e della cupola.
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Notizie storiche ed architettoniche
Sul lato opposto a quello del Palazzo de Capua, su Piazza Alberico Cresciteli, si eleva imponente la facciata della Collegiata, il cui impianto originario risale alla prima metà del secolo XII, quando viene menzionata come “Chiesa di Santa Maria de Altacauda”. Ricostruita con imponenti pareti verticali in muratura (filari regolari di tufelli di colore giallo legati da spessi strati di malta grigia), e notevolmente ampliata sul finire del Settecento, dopo che vi vengono trasferite le reliquie di San Pellegrino martire, la chiesa si sviluppa su una pianta a croce latina con tre navate interne, divise da pilastri, con cappelle laterali, cupola centrale e sottostante cripta e ossario. Sulla facciata principale, chiaramente di ispirazione tardo-settecentesca, si ammira, tra una coppia di alte paraste laterali terminanti in capitelli corinzi, un portale lapideo architravato con portone ligneo riccamente intagliato, mentre sul portale dell’ingresso laterale sinistro è reimpiegato, in una lunetta, un bassorilievo cinquecentesco di bronzo raffigurante un Cristo portacroce e realizzato dall’artista locale Donato Bruno. Sulla sinistra della facciata si eleva una imponente torre campanaria su due livelli e con basamento lievemente scarpato aperto su un passaggio voltato a botte. All’interno della chiesa si conservano, dopo i restauri apportati in seguito al sisma del 1980, l’altare maggiore tardo-settecentesco con paliotto in marmi policromi intarsiati, un crocifisso in legno dipinto, un pulpito ligneo intagliato sette-ottocentesco, l’organo a canne, alcune statue lignee policrome di santi realizzate tra i secoli XIXe XX(san Bernardino, sant’ Antonio, san Pellegrino, Madonna dell’Immacolata, santa Lucia, sant’ Alberico Cresciteli) ed una serie di decorazioni in stucco dorate. Elevata di recente a Santuario, la chiesa è meta continua di pellegrinaggi. In passato al suo interno si conservavano preziosi arredi sacri e nel 1799 venne depredata dalle truppe francesi la statua d’argento di san Bernardino. Retta originariamente da un collegio costituito da un arciprete e quattro canonici, aumentati a sei su disposizione del Cardinale Vincenzo Maria Orsini (futuro papa Innocenzo III), la Collegiata ha sempre rappresentato uno dei più importanti edifici di culto della media valle del Sabato.
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dom lug 08, 2007 9:52 pm
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Vallata

Storia di Vallata
Per quanto riguarda le origini del toponimo, alcuni studiosi ritengono che il nome Vallata provenga dalla sua posizione geografica, visto che il paese è in una valle chiusa, a 870 metri altitudine, tra le montagne di Santo Stefano, Serra Longa e il Formicoso. Altri invece sostengono che il toponimo voglia indicare una zona situata più a valle, dove sorgeva il primitivo abitato.

Di certo si sa che il territorio di Vallata è stato frequentato fin dalla preistoria. Tracce di presenze umane sono a Piano delle Rose e a Sferracavallo, a poca distanza dalle sorgenti dell’Ufita e del Calaggio.

Le testimonianze antiche più significative si riferiscono comunque alla fase di romanizzazione. Durante il corso degli anni, nelle località Maggiano, Serra Mattina, Macchialvio, Mezzana Perazze e Padula sono stati rinvenuti alcuni cippi funerari, tombe, anfore di terracotta e altri significativi oggetti, molti dei quali sono andati perduti. Con l’avvento dei Normanni Vallata fece parte della Baronia di Vico e fu tenuta, nel 1143, dal vassallo di Riccardo, Guario da Vallata. Sotto gli angioini, nel 1275, è registrato come signore del luogo un certo Johannes de Vallata. Quando Roberto d’Angiò donò la Baronia alla moglie, la regina Sancha, anche Vallata venne inclusa nel dono e, pochissimi anni dopo, il 12agosto del 1343, fu venduta, con gli altri possedimenti, a Raimondo del Balzo, barone del feudo di Minervino.

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Durante le furibonde lotte tra angioini e aragonesi, che nel corso del Quattrocento interessarono tutta la Baronia, Vallata subì il più spietato massacro della sua storia, lI 6 maggio del 1496 il marchese di Mantova Francesco Gonzaga, che affiancava gli aragonesi, in seguito a una fallita ambasceria, respinta dai vallatesi col ferimento di alcuni ambasciatori, assaltò il paese compiendo una vera e propria strage. La soldataglia saccheggiò il paese in ogni sua parte e rubò tutto quanto le capitava per le mani. I vallatesi si difesero strenuamente ma, alla fine, nulla poterono contro un nemico spietato e avvezzo alla guerra. Numerosi furono i morti, che probabilmente superarono le due centinaia. il fatto ebbe tale risonanza che la maggior parte delle popolazioni vicine si affrettò a consegnare le chiavi dei loro paesi al vincitore. Ancora oggi l’avvenimento viene ricordato come la Battaglia di Chianchione”.

Dal 1523, quando venne venduta a Paolo Antonio Poderieo, Vallata, amministrativamente, non fece più parte della Baronia di Vico. Dopo una serie di passaggi, nel XVIII secolo passò agli Orsini, duchi di Gravina, che la tennero lino all’eversione della feudalità

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La storia successiva di Vallata appare segnata dai moti carbonari e dalle lotte per l’unità d’Italia, raggiunta la quale non mancarono avvenimenti legati al brigantaggio, in cui furono coinvolti alcuni cittadini di Vallata. Per combattere il fenomeno, che ormai dilagava in tutta la zona e soprattutto lungo la valle del Calaggio, nell’alta valle dell’Uflta e sul Formicoso, a Vallata fu inviato un distaccamento di soldati piemontesi che fu accolto con grande ospitalità dalla popolazione.

Vallata: Chiese, Palazzi, Monumenti e luoghi di interesse

Tra i monumenti più significativi va annoverata la pregevole Parrocchiale di San Bartolomeo: Costruita intorno al Mille, fu spesso distrutta dagli eventi tellurici ma sempre immediatamente ricostruita col concorso della popolazione.
Oggi la chiesa, che si presenta in tutta la sua imponenza nonostante le numerose modifiche subite, domina il paese.
Il portale principale, del 1568, lavorato artisticamente da scalpellini locali, è sormontato da un enorme rosone, che ha un diametro complessivo di quattro metri.

Di grande pregio artistico sono le vetrate della chiesa, create su bozzetti dell’architetto Luciano Vinardi, che rappresentano la Creazione, la Natività, la Pentecoste, la Missione degli apostoli, la Crocifissione e la Resurrezione.
Notevole è il fonte battesimale, un’eccezionale opera dello scultore P. Andrea Martino, nativo della vicina Castelbaronia, caratterizzata da due vasche, una superiore e una inferiore, alle quali si dissetano due cervi. Nella chiesa sono visibili altre opere d’arte, tra le quali una tela del Lanfranco che rappresenta il Martirio di San Bartolomeo.

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Tra le altre chiese vanno segnalate la Chiesa di San Vito, dalla particolare facciata in pietra, e la Chiesa di Santa Maria, con il suo ampio e caratteristico pronao.
Tra i numerosi palazzi gentilizi presenti nel centro storico si ricordano Palazzo Gallicchio, Palazzo Netta, Palazzo Cataldo sorto sulle rovine del castello medioevale, e Palazzo Tullio

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gio ago 16, 2007 5:55 pm
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Messaggio Re: Paese che vai...Storia che trovi.
Ciao a tutti,
Avellino è una bella città dove sono rimasto molto soddisfatto dalle persone incontrate dal modo di fare molto divertente e amichevole.
Anche su wikipedia viene descritta molto dettagliatamente.
it.wikipedia.org/wiki/Avellino
Saluti a tutti.

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dom ott 23, 2016 8:39 pm
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